Torno a parlare di editoria, perché sono
stanca dei “sapientoni” del web.
Nei blog e nei social spopolano
ignoranti della peggior specie che siccome si autodefiniscono “consumatori di
libri” pensano di conoscere ogni aspetto dell’editoria.
E così parlano, parlano, parlano.
Per farla breve, sparano grandi
stupidate.
Una delle ultime che ho sentito riguarda
un argomento trito, ritrito e superato: l’esistenza delle case self.
C’è chi pensa, con che titolo non si sa,
che le case di selfpublishing (se volete sapere cosa sono, leggete questo
mio post) non abbiano alcun diritto di esistere.
Postulato che questa affermazione è una
cazzata bella e buona, voglio parlarvi del perché queste case sono nate e hanno
tutto il diritto di esistere.
A un certo punto della relativamente
breve storia dell’editoria, le case editrici tradizionali hanno cominciato a
pensare esclusivamente al guadagno.
Con questa frase non intendo dire che
sia sbagliato pensare ai soldi, perché senza di essi non si vive, voglio invece
affermare che il denaro è diventato più importante della qualità del prodotto.
Così i “cacciatori di libri” sono
diventati “cacciatori di teste” e lo scrittore è diventato un vip su cui
puntare, lo stallone da riproduzione da sfruttare fino all’ultimo respiro.
I compensi richiesti per la
pubblicazione dei libri sono saliti alle stelle (considerate che un buon 20%
delle case editrici a pagamento non dà nemmeno l’ISBN, il cui acquisto quindi
grava sulle spalle dello scrittore), la cura per l’editing del libro è venuta a
mancare, la qualità del prodotto è scesa ai minimi storici.
Queste case editrici sono diventate le
prostitute dell’editoria: si vende qualsiasi cosa, anche la più orrenda, purché
faccia guadagnare abbastanza (solo all’editore, si intende).
E così allora, dall’America, un giorno è
arrivata la prima casa editrice self: Amazon.
Capostipite di tutte le case self,
Amazon ha deciso di dare a tutti coloro che volevano mettersi in gioco la
possibilità di pubblicare e al posto di chiedere cifre astronomiche con
contratti a capestro, stabilì contratti con cifre chiare, precise e
continuative nel tempo.
Contratti?
Sì, contratti.
Perché molti ignoranti sono propensi a
credere che essere un autore self significhi caricare un file on line e
lavarsene le mani.
Invece no perché un autore self deve
occuparsi di tutto, ma proprio tutto quello che riguarda la revisione, l’editing,
la grafica e la pubblicizzazione delle proprie opere.
“Per un autore self le cose stanno nello
stesso modo (delle case editrici a pagamento, nda): i costi per pubblicare il
proprio libro sono certi e anticipati, mentre i guadagni sono incerti e tutti
da conquistare.
L’autore self è dunque editore di se
stesso: investe il proprio tempo e le proprie risorse sul proprio testo,
perché ci crede e pensa che ne valga la pena.
Tuttavia, anche se lui come singolo
autore non è un’azienda, deve affrontare il mercato editoriale con una
mentalità imprenditoriale e capire quanto vale la pena investire sul proprio
progetto, quali spese sono irrinunciabili e quali invece si possono rimandare,
e così via.
Il termine Self Publishing viene
normalmente tradotto come autopubblicazione, ma proprio per i discorsi che
stiamo qui facendo, a mio avviso dovrebbe essere tradotto come
autoedizione.
Fare Self-Publishing, infatti, non
significa solo pubblicare i propri testi, ma anche e soprattutto curarne la
preparazione prima di metterli in vendita e la loro promozione dopo averli
pubblicati. Si tratta quindi di un percorso lungo e articolato che corrisponde
esattamente al percorso che fa una casa editrice.”
(Libroza)
Aggiungo io una piccola postilla a tutto
questo discorso che ho riportato: a differenza degli autori pubblicati da case
editrici a pagamento, che ricevono recensioni quasi sempre positive, gli autori
self devono fare i conti con la stupidità e i pregiudizi dei lettori (e di
molto recensori e bookblogger) che solo a sentire la parola selfpublishing
storcono il naso pensando che sicuramente si tratti di prodotti di pessima
qualità.
Per concludere, cito qui una frase che
trovo molto pertinente e che spero invogli gli ignoranti del mondo di internet
a riflettere: “le case editrici a pagamento sono un tumore per gli scrittori,
se parte di questi si salveranno, altri purtroppo incontreranno la morte interiore
verso la scrittura.”