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Il rettangolo azzurro




TITOLO: Il rettangolo azzurro
AUTORE:
Remo Capone
GENERE:
Narrativa
CASA EDITRICE:
Elison Publishing

Trama:
Siamo di fronte a un viaggio nella memoria. L’adulto “ritorna“ al sé bambino nella Roma degli anni immediatamente precedenti l’ultimo conflitto mondiale (1938–1940), re-immergendosi nell’universo magico e incantato di questo suo alter ego nel tempo.
Il racconto nel seguire il bambino nei diversi  momenti del suo percorso iniziatico alla scoperta del mondo e dell’ “Altro”, mette  in  luce e descrive il processo di progressivo distacco, che in lui si opera, da quella indistinguibilità - quella vera e propria consustanzialità tra interno ed esterno - che aveva caratterizzato tutta la sua primissima infanzia nel “grande utero allargato“ della casa patriarcale, da lui percepita come un indistinto da sé.
Nel contempo  tutta la narrazione si sviluppa  sul  variegato sfondo di una “Roma sparita“, dipingendo come in  un affresco d’epoca una città fatta di quartieri come paesi, fitti di mille piccoli commerci ambulanti, di mille piccole e grandi botteghe; intessuti di una rete di rapporti umani semplici e, pur se a volte debordanti, sempre spontanei. E, per converso, di un Centro città elegante ed esclusivo, meta privilegiata degli inseguitori - e inseguitrici (tra cui la madre del bambino) - di sogni e di illusioni.
Su tutto questo scenario incombe come una scura nube temporalesca, il prossimo apocalittico scatenarsi del Conflitto, che diverrà nell’ultimo capitolo il protagonista sempre più invadente e minaccioso della narrazione.



Il libro è un lungo, lungo, lungo viaggio.
Si comincia da una Roma a me sconosciuta, quella del 1938 e del fascismo di Mussolini, per arrivare all’Io dell’autore e alla scoperta dei ricordi della sua infanzia.
Poteva essere una narrazione molto interessante, una sorta di “Alla ricerca del tempo perduto” in chiave contemporanea, però c’è stato qualcosa che ha reso il libro lento e per certi versi anche un po’ troppo statico, innaturale nel suo raccontarsi.

Il bambino, molto colpito da questi sforzi disperati per sottrarsi a una morte che lui sapeva atroce venivano infatti cucinate ancora vive mosso a pietà, aveva deciso sin dalle prime esperienze che quelle lumache, tanto coraggiose, andavano salvate.

Secondo me è stata la scelta dello stile narrativo.
Trattandosi di un libro autobiografico, che riporta ricordi di vita dell’autore, sarebbe stato più adatto una forma narrativa in prima persona (magari come un diario) dove l’autore doveva essere il fulcro di tutto il racconto, e dove le realtà descritte venivano giustamente filtrate dai suoi occhi e dalla sua memoria.
Invece la scelta di aver astratto l’Io narrante relegandolo al ruolo di “bambino” e mettendolo di fatto fuori dal centro del racconto, al pari degli altri personaggi, ha reso la storia difficile e poco scorrevole, complice anche la mancanza quasi totale dei dialoghi.
Lo rileggerei? Non adesso.