Sempre più spesso si parla o per meglio dire si sparla a sproposito di
editoria.
Gli opinionisti tuttologi si sprecano ad elargire consigli su cosa si dovrebbe o non si dovrebbe fare in questo campo con articoli e post.
Nel mondo del web leggo, per interesse e anche per lavoro (vorrei
ricordare a chi non conosce questo blog, che io collaboro con giornali e case
editrici da un po' di tempo) di persone che si occupano di editoria ma non sono scrittori
(di libri, non di testi teatrali o di racconti per giornali), non sono
recensori, non sono critici letterari, non sono librai, non sono revisori, non
sono correttori di bozze, non sono editori.
Che cosa sono, allora?
Persone che non hanno un bel niente da fare tutto il giorno, “aspiranti
novellisti” con il libro “in canna” da anni, idealisti della filosofia “ah il
profumo della carta” (segue invettiva “pseudo morale” contro gli ebook e gli
scrittori, editori e negozi che li promuovono), ignoranti tout court del mondo
editoriale e delle sue sfaccettature.
Sono persone che non sanno quanto deve essere lunga una riga per essere
leggibile, non sanno cosa sono le saccadi, non studiano la microtipografia, non
hanno idea di cosa sia la differenza tra righe corte e righe lunghe, non sanno
perché si giustifica (giustifica qui non significa scusarsi, nota per persone
ignoranti), non sanno perché ancora oggi, dopo 500 anni dall’invenzione di
Gutenberg, si stampano ancora i libri con i classici caratteri Garamond, Times New
Roman, i Sans Serif o il Calibri.
Gente che suppone che le carte per la stampa siano tutte uguali, gente
che non conosce la grammatura dei libri, la differenza tra carte spessorate,
patinate, con lignina, cotone, carte FSC, il grado di bianco.
Gente che non sa cosa sia la brossura normale, la brossura fresata, la
differenza fra copertina opaca e lucida.
Gente che pensa che gli epub e le case editrici self siano
un’invenzione per prendere in giro le “persone oneste”, e che crede che i
dispositivi e-reader siano un prodotto dei Figli di Satana.
Persone che credono che recensire un libro sia un gioco, qualcosa di
poco serio, che insinuano che dietro una recensione ci debba necessariamente
essere un accordo autore-revisore o un pagamento, che le recensioni sono una
forma di leccaculismo e “promozione di autori falsi che non sanno scrivere i
libri”.
Persone convinte che l’editoria sia tutta una bella burla e che chi ci
lavora dentro, dallo scrittore fino al libraio passando per editori, revisori,
grafici, stampatori, agenti letterari, traduttori, correttori di bozze (e tanto
altro ancora) siano tutte persone che del mondo non sanno nulla.
A queste persone dico di evitare di scrivere di editoria, anzi di
evitare di scrivere proprio.
Tanto tutto ciò che scrivono è un po’ come certi racconti che si
leggono su quegli insulsi giornaletti che si trovano nelle edicole (quelli come
il vecchio Cioè) o quei settimanali per signore annoiate, che spacciano per “storie
vere” i racconti pubblicati, che a leggerli se ne riconosce immediatamente la
totale inconsistenza.