Trama:
Opera prima di Liala,
"Signorsì" narra la storia di un ufficiale pilota, Furio, la cui vita
si divide tra impegno aviatorio e amori facili fino a quando l'incontro con
Renata cambia la sua esistenza. Grande amico di Furio è Mino, legato ad una
donna sposata da cui ha avuto una figlia. L'amore appassionato tra Furio e
Renata fa affiorare un'antica ossessione della donna: il timore di somigliare
alla madre reputata una poco di buono. Un incidente scatenerà la tragedia.
Renata perde il bambino che stava aspettando da Furio assistendo ad una
esercitazione di volo. Un aereo disperso la fa temere per la vita dell'amico di
Furio, Mino. Trovata conferma della sua strada di perdizione, a Renata non
resta che percorrerla.
(foto - Pinterest)
L’autrice:
Quando Aldo Busi arriva nella villa di
Varese per il sospirato appuntamento con lei già novantenne, l’impressione è
notevole: «Liala è una regina e non ho mai incontrato testa coronata più
composta e azzurrata di questa» sintetizza lo scrittore nel libretto pubblicato
a seguito dello storico incontro. E la descrive amorevolmente come «una
creatura di irragionevole bellezza, [...] di una nobiltà superiore a quella,
troppo stereotipata, “noblesseobligeamente” estenuata e decadente di un
Luchino, che qui, in casa Cambiasi, avrebbe potuto al massimo aspirare a un
posto di maggiordomo».
Con i suoi impeccabili tailleur e
completini rigorosamente coordinati – tutto si può perdonare, non un paio di
scarpe stonate – la signora del rosa italiano ha mantenuto intatto, fino alla
fine, quel lo charme desueto fatto di cura dei dettagli e impagabili
tocchi di stile, senza mai tra sformarsi nel feticcio mostruoso di se stessa,
come è accaduto a Barbara Cartland.
Amalia Liana Negretti Odescalchi nasce
nel 1897 a Carate Lario, sul lago di Como, scenario fisso dei suoi romanzi.
È di origine aristocratica da parte di
madre, ma non è ricca; forse anche per questo sposa, giovanissima, il marchese
Cambiasi, affascinante ma molto più anziano di lei.
La passione coniugale finisce presto, e
Cambiasi riprende la sua vita dispendiosa di gaudente disincantato e blasé, lasciando
per lunghi periodi la giovane moglie sola con la figlia Primavera.
Ma Liana non ha né il fisico né il
carattere adatto ad interpretare il ruolo dell’angelo del focolare, tantomeno
una di quelle fragili eroine della sconfitta, piegate dal destino, di cui
pullulano i romanzi femminili dell’epoca.
Santa rassegnazione, devozione,
vocazione al sacrificio non sono per lei. Dietro gli occhi verde cupo («color
birra Moretti» commentano i compaesani maligni) e l’onda di capelli
tizianeschi, cela una ferma intenzione di vivere, e la voglia esplosiva di
sentirsi al centro dell’attenzione e degli sguardi del mondo (soprattutto
quelli maschili).
Il destino ha in serbo per lei un altro
marchese, Vittorio Centurione Scotto, alto, aitante, di qualche anno più
giovane di lei. Inoltre è un asso dell’aviazione, un eroico pilota che vince
tutte le gare, splendido nella sua divisa candida.
È l’amore, anzi l’Amore con la
maiuscola, come la scrittrice sempre lo chiamerà nelle memorie, nei racconti.
Ma è una storia senza lieto fine: mentre,
con l’aiuto del comprensivo marito, Liana cerca di ottenere un divorzio
all’estero, il suo amante precipita in acqua durante un allenamento per la
Coppa Schneider. La favola bella si trasforma in tragedia, mille volte narrata
e ripetuta dalla scrittrice, fino a farne il mito di fondazione di un genere
letterario. Perché è lei che ha inventato il romanzo rosa italiano, nutrendolo
per settant’anni di un ricordo vampirizzato, strizzato fino all’ultima goccia,
conservato nell’ambigua formalina delle sue trame.
Dopo la morte di Centurione, Liana
accetta l’offerta del marito di tornare insieme, per ricomporre la famiglia.
Pochi anni dopo, nel ‘31, esce da Mondadori il primo dei suoi circa 70
romanzi, Signorsì. «L’ho scritto per non impazzire», confesserà
l’autrice. Ma a soli venti giorni dalla pubblicazione, l’editore telegrafa che
il romanzo è esaurito; è l’inizio di un successo implacabile e ininterrotto che
nessuna scrittrice, in Italia, ha più eguagliato.
Fu D’Annunzio a trovarle il
liquido nom de plume che sarà il suo marchio di produzione,
suggerendo che a una scrittrice così amica degli aviatori mancava solo un’ala
nel nome. E indovinando l’indole orgogliosa e trasgressiva della giovane
ammiratrice, le scriverà una famosa dedica: «A Liala, compagna d’ali e d’insolenze».
D’Annunzio aveva visto giusto: niente è
più lontano dai luoghi comuni sul rosa – accusato di melensaggine,
conservatorismo ipocrita, esaltazione della subalternità femminile – della
narrativa di Liala.
Nelle sue pagine s’aggira un fantasma pericoloso,
che prende corpo fino a diventare una presenza incombente e viva: è il
desiderio femminile, la sessualità negata delle donne. Non più solo palpiti,
fremiti, sospiri, rossori, lacrime, occhi bassi. La scrittura di Liala non
richiede forzature sul non detto, crepe nella superficie del testo, orizzonti
segreti di lettura; il desiderio femminile vi circola esplicito, anzi, permea
di sé la struttura narrativa.
Generazioni di lettrici l’hanno amata –
e quanto – perché nei suoi libri ha saputo riprodurre le qualità del sogno, ma
di un sogno che libera energie segrete, domande represse, aprendo
all’esplorazione il territorio ribollente delle fantasie.
Spazio troppo femminile per essere
neutrale, il romanzo rosa è stato spesso piegato a fini pedagogici; ma non da
Liala. Ed è per questo che lei sola, fra le migliaia di scrittrici rosa che si
sono susseguite fino agli anni Sessanta, continua ad essere pubblicata e letta.
La sua morale è elastica, ma realistica: se i devianti pagano, è perché la
società è fatta così, ed è meglio attrezzarsi, per non soccombere. Liala non ha
insegnamenti da dare che non siano pratici o formali, niente di più che una
sorta di galateo della vita, che esclude ogni puritanesimo e non propone
valori. 1 valori più autentici, nelle sue pagine, sono l’amore come piacere
erotico, e la cura di sé come piacere narcisistico.
«Il mio miglior romanzo è la mia vita»,
ripeteva nelle interviste. E si è barricata con ostinazione dentro il geniale
gioco di finzioni biografiche e letterarie che ha messo in piedi, fragile
castello di carte che ha resistito per tutta un’esistenza, stravolgendo le
severe regole del rosa.
Invece di nascondere la sua relazione,
l’ha sbandierata, invece di porre al centro della scena il matrimonio, ha
rivendicato orgogliosamente la legittimità del suo adulterio. Eppure non ha
vissuto una vita disgraziata, non è stata punita, anzi è tornata tra le braccia
consolatorie del marito, ha avuto una seconda figlia, ha conosciuto il successo
e l’universale comprensione per le sue pene d’amore. Tra Ombre di fiori
sul mio cammino e Farandola di cuori, tra Melodia del
l’antico amore e Frantumi di arcobaleno, Liala ha aperto, per le
sue lettrici, un piccolo spiraglio su azzardate speranze di libertà.
Perché leggere un libro di Liala?
Perché i sogni aiutano a vedere la vita
in rosa.