Recensioni e post

Ma quanto costa farsi tradurre un libro?


Oggi parliamo di... traduzioni!
Spesso ci si lamenta del fatto che tanti scrittori italiani sono pigri, poiché non fanno tradurre i propri libri, senza tenere conto che in generale nemmeno tutti gli autori stranieri (tranne i più famosi, i colossi della letteratura) fanno tradurre le loro opere.
Perché?

Mi ci è voluta qualche conversazione con degli autori, alcuni dei quali conosco solo virtualmente e altri invece di persona, per capire che scegliere di non farsi tradurre un libro non è questione di pigrizia ma di soldi.
Tanti soldi, se proprio vogliamo dirlo.

Cominciamo col dire una cosa:
“In Italia, vivere di sola letteratura è un lusso per pochi eletti: soltanto dieci sui diecimila che ogni anno pubblicano novità. Così gli autori fanno altri mestieri, aspettando l’exploit.
In Francia e Scandinavia ci sono sovvenzioni statali e borse riservate a chi scrive.
Sono nati anche collettivi su Internet come “Scrittori precari” e “sommersi”. Cristiano Cavina nonostante le 30 mila copie vendute è ancora un pizzaiolo.
In Italia si pubblicano ogni giorno 160 libri, circa 60 mila all’anno, di questi 10 mila sono testi letterari alla prima edizione. Ognuno in media vende quattromila copie. Su decine di migliaia di autori, molto meno dell’un per cento vive della propria scrittura. Tra quelli che ci riescono, Andrea Camilleri, Gianrico Carofiglio e Andrea De Carlo, e non a caso in questi giorni figurano in cima alla classifica dei più venduti.
Che con la letteratura non si mangi non è però una novità: Svevo, nonostante la stima di Joyce, era impiegato nell’azienda di vernici del suocero; l’ingegner Gadda lavorava in Rai; Bianciardi sbarcava il lunario con le sue traduzioni.
E le cose da allora non sono cambiate.”

Con questo presupposto, come si può chiedere a uno scrittore di spendere qualcosa come migliaia di euro per una traduzione?
Pensate che esageri?
Non esagero, guardate il tariffario qui sotto e fate due calcoli.
Se per esempio avete scritto un libro di centomila parole, ovvero circa cinquantasei cartelle, quanto spenderete?
Dipende dalla cartella. Alcuni traduttori sono onesti e considerano una cartella circa duemila parole, altri invece fanno i furbi e considerano una cartella milleottocento parole spazi inclusi.
Far tradurre una cartella costa minimo 40 euro.
Nel secondo caso, quello più probabile, dovrete spendere almeno 2500 euro senza considerare le spese per eventuali modifiche e rettifiche.
A meno che non vi facciano pagare a riga, come indica il tariffario qui sotto, e allora costa ancora di più.



Se uno scrittore non fa parte della rosa di coloro che, vuoi per nome o vuoi perché hanno la fortuna di avere un grosso contratto con una casa editrice famosa, non può permettersi di pagare una cifra del genere che va a sommarsi con le trattenute della casa editrice (che varia a seconda che essa sia self o no), i prezzi di stampa, le royalties dei negozi, allora si deve arrangiare e giustamente rinuncia a una traduzione.

Vorrei poi aggiungere una questione, in mezzo a questo discorso, a cui tengo molto.
Ma che senso ha farsi tradurre un libro?
Mi spiego meglio, almeno ci provo: spesso veniamo rimproverati, come italiani, del fatto che non “ci impegniamo abbastanza a imparare le lingue straniere” (anche se poi le statistiche smentiscono) e “pretendiamo le traduzioni” così capita non solo per ragioni di soldi che spesso e volentieri arrivano in italiano solo il 10% dei libri stranieri scritti nel corso di un anno.
Se uno vuole leggere un libro che non rientra in questa rosa, o sa la lingua o si arrangia.
Ecco, bene, perché non può essere così anche per i libri italiani?
Perché i nostri scrittori devono svenarsi per farsi tradurre, quando invece i lettori stranieri potrebbero sforzarsi di imparare l’italiano?

E per concludere, chi ci assicura che i traduttori siano realmente capaci di fare il loro lavoro?
Se per caso usassero strumenti come Google Translator?
Chi assicura a lettori e scrittori (soprattutto a loro, visto quanto pagano) che il lavoro sia davvero un buon lavoro?