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La domenica in rosa #17


Trama:

La sera del 28 marzo 1944 i violenti colpi alla porta di casa fanno riemergere negli adulti della famiglia Perlow antichi incubi.
La pace trovata a Fiume, dopo un lungo peregrinare per l'Europa cominciato agli inizi del Novecento in fuga dai pogrom antiebraici, finisce bruscamente: nonna, figli e nipoti vengono arrestati e, dopo una breve sosta nella Risiera di San Sabba a Trieste, deportati ad Auschwitz-Birkenau, dove molti di loro saranno uccisi.
Sopravvissute alle selezioni forse perché scambiate per gemelle o forse perché figlie di un padre cattolico, o semplicemente per un gioco del destino, le due sorelle Tatiana (6 anni) e Andra (4) vengono internate, insieme al cugino Sergio (7), in unKinderblock, il blocco dei bambini destinati alle più atroci sperimentazioni mediche. In questo libro, le sorelle Bucci raccontano, per la prima volta con la loro voce, ciò che hanno vissuto: il freddo, la fame, i giochi nel fango e nella neve, gli spettrali mucchi di cadaveri buttati negli angoli, le fugaci visite della mamma, emaciata fino a diventare irriconoscibile.
E sempre, sullo sfondo, quel camino che sputa fumo e fiamme, unica via da cui «si esce» se sei ebreo, come dicono le guardiane. L'assurda e tragica quotidianità di Birkenau penetra senza altre spiegazioni nella mente delle due bambine, che si convincono che quella è la vita «normale». Il solo modo per resistere e sopravvivere alla tragedia, perché la consuetudine scolora la paura. Finché, dopo nove mesi di inferno, ecco apparire un soldato con una divisa diversa e una stella rossa sul berretto.
Sorride mentre offre una fetta del salame che sta mangiando: è il 27 gennaio 1945, la liberazione.
Che non segna però la fine del loro peregrinare.
Dovrà passare altro tempo prima che Tatiana e Andra ritrovino i genitori e quell'infanzia che è stata loro rubata. Le sorelline trascorreranno ancora un anno in un grigio orfanotrofio di Praga e alcuni mesi a Lingfield in Inghilterra, in un centro di recupero diretto da Anna Freud, dove finalmente conosceranno la normalità.

(Tatiana e Andra) 

Le autrici:

Le sorelle Tatiana (all'anagrafe Liliana) e Andra (diminutivo di Alessandra) Bucci nascono nella città di Fiume rispettivamente nel 1937 e nel 1939, figlie di Giovanni Bucci fiumano, cattolico, e Mira Perlow, ebrea.
La famiglia Perlow, originaria della Bielorussia, si era trasferita a Fiume ai primi del Novecento per mettersi in salvo dai pogrom zaristi.
La famiglia Perlow si trasferì a Fiume perché la città sembrava piuttosto tollerante nei confronti degli ebrei, e aveva uno sbocco sul mare che permetteva una via di fuga se ce ne fosse stato bisogno.

Anche la sorella di Mira, Gisella, aveva sposato un cattolico, Eduardo De Simone, con il quale si trasferì a Napoli dove diede alla luce il loro primogenito Sergio De Simone.
Nel 1943, Gisella, rimasta sola con il figlio a Napoli dopo che il marito era stato richiamato alle armi decise di tornare a Fiume dalla sua famiglia con il piccolo Sergio.
Rimpiangerà questa scelta per tutta la vita, poiché dopo pochi mesi Napoli venne liberata dagli Alleati angloamericani e gli ebrei furono salvi.
Dopo l'8 settembre 1943, a Fiume vennero applicate le leggi razziali tedesche e per la comunità ebraica iniziarono le deportazioni.
Il 28 marzo 1944, a seguito di una denuncia dell'ebreo Plech, Andra e Tatiana, rispettivamente all'età di 4 e 6 anni, vennero arrestate insieme alla mamma, alla zia, al cuginetto Sergio De Simone e ad altri familiari.

La famiglia Perlow fu trasportata a Susak in un magazzino di vini dove rimase per una notte, dopodiché tutti furono caricati su un'automobile e trasferiti nella Risiera di San Sabba per due giorni e due notti dove furono sottoposti ad interrogatori. In seguito la famiglia Perlow fu caricata senza acqua né cibo su uno dei vagoni del treno diretto in Polonia.
Mira riuscì a passare a qualcuno un bigliettino da far recapitare alla famiglia di suo marito, rimasta a Fiume. La notte del 4 aprile 1944 il loro treno arrivò ad Auschwitz-Birkenau.
I deportati furono portati in un piazzale dove furono smistati, la nonna fu indirizzata nella fila di sinistra e, caricata insieme ad altri ebrei su di un camion, venne uccisa la sera stessa.

La legge di Auschwitz prevedeva l'uccisione all'arrivo per le donne con i bambini e per chi avesse più di sessanta anni e meno di quindici: quella stessa notte madre e figlie furono separate. Le bambine probabilmente vennero scambiate per gemelle perché praticamente identiche, nonostante la loro differente età e, con il cuginetto, furono indirizzate nel Kinderblock, la baracca dei bambini destinati agli esperimenti del dottor Josef Mengele.
La madre e la zia furono mandate in una baracca poco distante da quella dei bambini e immesse nei Kommando di lavoro nel lager.

Mira riuscì a vedere poche volte le sue figlie e ogni volta che le andava a visitare ripeteva loro di non dimenticare i loro nomi: questa raccomandazione fu di grande aiuto alle due bambine anche una volta uscite dal campo per poter ricongiungersi ai loro famigliari.
Andra e Tatiana iniziarono a rifiutare quella donna smagrita, rasata e sofferente che era diventata la loro mamma, poiché non corrispondeva più al ricordo dell'immagine che avevano della madre e si rifugiarono nella loro unione, diventando l'una la famiglia dell'altra, proteggendosi a vicenda dall'orrore del campo.

Le bambine iniziarono a rendersi conto di essere nel campo di concentramento, e anche se in maniera confusa, si abituarono alla morte, non piangevano di fronte ai cumuli di cadaveri di ebrei come loro e non piansero nemmeno quando la mamma smise di andarle a trovare, accettando la possibilità che tra quei corpi potesse esserci anche la loro madre.

Tatiana ricorda:

«[…]Auschwitz è soprattutto il camino. Non so quando, ma a un certo punto sapevo di essere in quel posto chiamato Auschwitz e per me quel nome si legava alla ciminiera. […] Sta di fatto che io sapevo che lì dentro si inceneriva la gente. Uscivano anche fiamme, non solo fumo grigio. Vampate di fiamme, da cui pioveva come una nebbiolina grigia che si posava dappertutto. E si sentiva sempre quell'odore, io non capivo che cosa fosse. Dopo ho saputo che era carne bruciata.»

Anche la sorella minore Andra ricorda momenti della loro vita nel campo: 

«Se chiudo gli occhi, rivedo la baracca dei bambini, io, mia sorella e Sergio che giriamo intorno tenendoci per mano. […] Andiamo in giro soli, abbiamo freddo, addosso abbiamo dei cappottoni e le scarpe senza calze che ci sfuggono dai piedi.»

Le due sorelle con il cuginetto, durante i primi giorni nel campo, tra di loro parlavano in italiano. Presto però dimenticarono la loro lingua, iniziando a capire il tedesco e successivamente a parlarlo.

Le due bambine infatti non si ammalarono di malattie infettive e devastanti come il tifo, la noma e la dissenteria. Inconsapevolmente suscitarono in alcuni adulti della tenerezza e della pietà che produssero dei piccoli atti per la sopravvivenza di entrambe.
Alcuni internati porsero loro del pane, una scatola di biscotti e della cioccolata, correndo anche dei rischi.

Fondamentale per la loro salvezza fu la blockova, un'addetta alla sorveglianza della baracca dei bambini e delle donne, della quale le sorelle non ricordano il nome, che si prese cura soprattutto di Tatiana alla quale regalò dei caldi maglioni da condividere con la sorellina e questo permise alle due bambine di sopravvivere alle crudeltà del campo.

Un giorno di novembre la blockova prese da parte Andra e Tatiana e disse loro:

«Verranno degli uomini, raduneranno tutti voi bambini e vi diranno: chi vuole vedere la mamma e tornare con lei, faccia un passo avanti. Voi dovete rimanere ferme al vostro posto, non rispondere assolutamente nulla.»

Le due sorelle lo dissero anche a Sergio affinché si potesse salvare insieme a loro. Quando il dottor Mengele si presentò alla baracca insieme ai suoi uomini e chiese ai bambini di farsi avanti se volevano andare a trovare la mamma, Sergio, abituato a vivere solo con la madre, fece il passo in avanti e venne prelevato insieme ad altri 19 bambini per essere trasferito al campo di concentramento di Neuengamme dove subì orribili esperimenti e trovò infine la morte. Le bambine invece, grazie al loro legame e al loro farsi forza a vicenda, rimasero ferme in silenzio e non chiesero mai di vedere la mamma.

Andra e Tatiana tornarono alla normalità quasi facendo finta che ciò che avevano passato a Birkenau non fosse successo.

Con la mamma parlarono spesso di Lingfield, ma mai di Birkenau. Le sorelline rispettarono il silenzio della mamma sulla sua esperienza e lei fece lo stesso con le sue bambine.
Solo dopo molti anni dalla loro liberazione e dal loro ritorno in Italia, Andra e Tatiana iniziarono a parlarne.

Tornarono a Birkenau per la prima volta con Marcello Pezzetti, storico italiano, uno dei massimi studiosi italiani della Shoah, dopo aver testimoniato al Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC).
Fu per loro strano vedere Birkenau totalmente diversa da come la ricordavano, faceva caldo e vi era l'erba alta con le margherite selvatiche e la loro impressione fu quella di trovarsi in un campo profughi, anziché in quello che era stato un campo di sterminio.
Le baracche, soprattutto quelle in muratura apparivano ben tenute, l'aspetto generale del luogo non era così terribile come lo ricordavano, per cui nonostante il dolore provato nel tornare dove passarono la loro infanzia soffrendo la fame ed il freddo, non fu per loro un tragico ritorno.
(Fonte: Wikiwand)

(Tatiana e Andra insieme al cugino Sergio)

Perché leggere questo libro?

Se vi devo spiegare il motivo per cui leggerlo, allora non capirete mai il senso di libri come questo e l’importanza del loro messaggio.