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La mano nera della giustizia di Alessandro Carta



TITOLO: La mano nera della giustizia
AUTORE:
Alessandro Carta
GENERE:
Narrativa
CASA EDITRICE:
Elison Publishing

TRAMA:
Torino, centro abitato dal fascino unico, dal sapore che oscilla tra la sobrietà e il lusso tipico della città ottocentesca, dove sono passati imperatori e nati regni, è oggi città d’arte malavitosa invasa da immigrati di ogni dove, divisa tra società criminali, bande e mafie, specialmente quella calabrese che con la sua fame inarrestabile sembra non voler lasciare più niente a nessuno. Nella bolgia totale garantisce un po’ di giustizia, a modo suo, uno sbirro spietato e corrotto intrappolato nelle sue dinamiche, tra i pochi che sa davvero in che verso girano le cose, Nazzareno Amendola. Una storia passata ormai da sette anni lo tormenta. Quando ormai sembra essersi rassegnato ecco che qualcosa inaspettatamente comincia a muoversi, si inizia a sentire nuovamente l’odore della verità, che in questo caso è tutt’altro che buono, tornano a galla fatti che puzzano di marcio e rischiano di trascinare il protagonista in un baratro senza via di ritorno.



Nazzareno Amendola non è un uomo qualunque.
È una persona con un passato difficile, che lo tormenta: ha due figli avuti da due donne diverse, Davide e Ambra, e ha perso Virginia, la madre di Ambra e l’amore della sua vita, per colpa di un tumore che non le ha lasciato scampo.
Nazzareno ama e odia tanto Torino, la città in cui è ambientato il romanzo, quanto il suo lavoro di ispettore di polizia che svolge con passione e dedizione, muovendosi persino ai limiti del concesso pur di ottenere giustizia.
È un giorno come tutti gli altri, a Torino, quando Nazzareno viene coinvolto in un caso diverso da quelli che finora sta seguendo e che lo porterà a rischiare moltissimo.

Questo è il primo romanzo che leggo di Alessandro Carta, e da quello che ho letto all’inizio del libro è direttamente collegato al precedente La musa di Carmagnola, quindi purtroppo non ho tutte le basi necessarie per fare una recensione in toto paragonando i due volumi.
Mi limiterò dunque a questo iniziando dalla storia che è avvincente, ben costruita grazie anche alle ricerche attente dell’autore che ha dimostrato di conoscere molto bene la realtà torinese, e che bilancia le riflessioni di Nazzareno con le scene d’azione che inchiodano il lettore alle pagine.

Presi la bottiglia e buttai giù un bel sorso. Tirai un paio di cazzotti ai mobili della cucina. Le nocche iniziarono a pulsare e a farmi male.
Con tutta la rabbia che avevo in corpo lanciai la fruttiera contro la dispensa. L’ultimo tintinnio del vetro infranto si spense appena smisi di battere i pugni sul tavolo. Mi fermai. Indossai il giubbotto con sotto la maglietta e scesi per strada a fare un giro. Decisi di andare in un bar frequentato da poco di buono proprio lì vicino.

La narrazione si svolge in prima persona, la voce narrante ovviamente è Nazzareno.
L’autore ha scelto saggiamente di utilizzare la forma verbale del passato remoto così, anche se il protagonista è l'unico narratore, il lettore riesce bene a seguire gli eventi e non si trova spiazzato o disorientato.
Solo il prologo è raccontato in terza persona, da un narratore onnisciente che coincide con l’autore, ma questo escamotage serve per introdurre il lettore nella storia.

Ottima l’idea di introdurre all’inizio del libro una breve ed essenziale guida ai personaggi, che ho trovato molto utile per orientarmi meglio nella lettura.

Rileggerei questo libro?
Sì, e mi piacerebbe anche leggere il precedente volume.