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Il giro dell'oca di Erri De Luca



TITOLO: Il giro dell’oca
AUTORE: Erri De Luca
GENERE: Narrativa
CASA EDITRICE: Feltrinelli

Trama:
Dialogando con il figlio mai avuto, un uomo ripercorre la sua vita. Ma se a quel padre e a quel figlio dà voce Erri De Luca, le parole nate dalla notte emanano luce.

"Le parole. figlio, non inventano la realtà, che esiste comunque. Danno alla realtà la lucidità improvvisa, che le toglie la sua naturale opacità e così la rivela"

In una sera senza corrente elettrica, mentre rilegge Pinocchio, un uomo sente la presenza del figlio che non ha avuto, il figlio che la madre - la donna con cui in gioventù lo concepì - decise di abortire. Alla fiamma del camino, il figlio gli appare già adulto, e quella presenza basta «qui e stasera» a fare la sua paternità. Per tutta la notte al figlio «estratto da una cena d'inverno» lui racconta «un poco di vita scivolata». E così ecco l'infanzia napoletana, la nostalgia della madre e del padre, il bisogno di andare via, di seguire la propria libertà - «la libertà che ho conosciuto è stata andare e stare dove non potevo fare a meno» -, le guerre trascorse ma anche i baci che ha dato... e, a poco a poco che racconta, immagina le reazioni di questo figlio adulto, ciò che potrebbe dire, fino a che il figlio, da muto che era, prende la parola e inizia a dare voce alla propria curiosità («a proposito di maschere, di che ti vestivi a Carnevale?»), punteggia il racconto del padre con domande e osservazioni, lo guida, aiuta a mettere i dettagli a fuoco, e si fa guidare. Il monologo iniziale diventa così un dialogo a due voci, che indaga su una vita, sugli affetti, sulle scelte fatte, sui libri letti e su quelli scritti, sull'importanza delle parole e delle storie. Un'indagine che, più che tracciare un bilancio, vuol essere scandaglio, ricerca intima - quasi una rivelazione -, che accoglie l'obiezione, è aperta all'errore, si china sull'inevitabilità di ciò che è stato e salva, tramanda le qualità emerse dai ricordi («questa potrebbe essere una dote per me: imparare da qualunque esempio»). Mentre fuori si alza il vento che viene da nord e lui sistema sulla brace una fetta di pane perché, con un poco d'olio, serva a farli stare insieme ancora un po', da «padre inesistente, padre di una sera», gli pare di sbiadire, mentre il figlio aumenta di precisione, proprio come i personaggi dei romanzi diventano più precisi e memorabili dei loro autori, proprio come Pinocchio, e non il falegname che l'ha creato, dà il nome al romanzo.




De Luca è uno scrittore pretenzioso, là dove si possono scrivere dieci parole lui ne compone cinquecento senza mai arrivare al punto.
E quando un libro non è tale ma è il lungo racconto autobiografico di se stessi, un dialogo (monologo) con un invisibile interlocutore che veste i panni di un figlio mai avuto ma che alla fine si trasforma in una pallida fotocopia dello scrittore.
La lettura del libro risulta pesante, è un insieme di ovvietà e luoghi comuni scritti con uno stile ridondante che fatica a scorrere non regala emozioni, diventa un monologo noioso e non coinvolge il lettore.
Si ha come l’impressione di assistere a un delirio vanesio e a tratti schizofrenico, dal quale non si esce se non quando il libro è finalmente chiuso sull’ultima pagina.
Se De Luca ha cercato di identificarsi con Marcel Proust, creando un suo viaggio della memoria non è riuscito a raggiungere il suo scopo ma neppure i suoi livelli narrativi e la profondità dell’autore francese!